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Stefano Zurlo e gli squadristi del Giornale
di Piero Ricca


Stefano Zurlo

Il 9 aprile 2005 un lungo articolo a pagina 18 del Giornale raccontava di un dibattito svoltosi a Bologna il giorno prima. A quel dibattito fui anch’io invitato a partecipare. La cosa evidentemente non piacque al redattore del quotidiano che fu di Montanelli. Nell’articolo infatti non si leggeva alcun riferimento al merito del dibattito, ma solo una gratuita polemica verso i “nemici” del Cavaliere, rei di alimentare il famigerato “clima d’odio”, approfittandone anche per farsi i soldi. Mi sembrò un esempio di quella mutazione genetica del giornalismo, che in questi ultimi anni ha definitivamente trasformato la gran parte degli operatori dell’informazione in velinari e manganellatori. Ecco la lettera aperta che indirizzai all’autore di quell’articolo. Dovetti poi insistere per venti giorni per veder pubblicata una mia sintetica replica nella rubrica postale del Giornale.

Caro signor Zurlo,

"la libertà di cronaca non è libertà di diffamare". Nessuno in buona fede se la sentirebbe di dissentire da questa dichiarazione di principio pronunciata dall'attuale presidente del Consiglio il 6 maggio 2003, prima che solerti ispettori aziendali fossero inviati a Saxa Rubra a verificare la famosa accusa dell' "agguato mediatico", rivolta ai giornalisti del tg3. Accusa rivelatasi falsa. Proprio in quei giorni di maggio, agitati dagli strascichi della condanna a Previti e dalla preparazione del Lodo Schifani, le tv amplificavano a beneficio dell'intera Nazione le rivelazioni sul presunto scandalo Telekom Serbia del conte Igor Marini e di altri gentiluomini, poi inquisiti per calunnia. Ufficio stampa della cricca era il Giornale.

In varie occasioni io stesso ho avuto l'onore di sperimentare personalmente l'uso disinibito della libertà di cronaca da parte del quotidiano fondato da Indro Montanelli e diretto da Maurizio Belpietro. Quale passione per la verità animi la redazione di via Negri, l'ho potuto da ultimo verificare lo scorso 9 aprile. Quel giorno Il Giornale pubblica a pagina 18 un ampio servizio a Sua firma, signor Zurlo, che dà notizia (si fa per dire) di un'iniziativa volta a sostenere la produzione indipendente di un film, Shooting Silvio. In questo servizio lei mi definisce "il testimonial scelto per lo Shooting Silvio Tour, ovvero per il pellegrinaggio da una città all'altra per raggranellare i fondi necessari a trasformare il copione in realtà". Ancor più esplicito il sommarietto (farina del suo sacco o merito dell'impaginatore?) che a grandi lettere recita: "Testimonial dell'iniziativa Ricca che gridò Buffone al premier e ora gira l'Italia a caccia di denaro".

Questo è falso, signor Zurlo. Come falsa è la suggestion e da "clima d'odio" che Lei in quel servizio, con zelo eccessivo, si incarica di replicare, forse confidando nella efficacia della retorica del vittimismo. In realtà quel progetto di cinema indipendente - che peraltro non ha finalità di denuncia politica - fa capo a un giovane regista, Berardo Carboni, il quale sta organizzando in giro per l'Italia una serie di eventi a scopo di autofinanziamento. Giovedì 8 aprile il tour è partito da Bologna, dove le due feste in programma nel weekend sono state precedute da un dibattito sull'informazione, al quale sono stato invitato a partecipare in qualità di cittadino attivo nei movimenti della società civile. Tutto qui. Nessuna attività di testimonial, nessun pellegrinaggio, nessuna istigazione alla violenza, nessuna (berlusconiana) caccia di denaro.

Mi chiedo: era così difficile verificare? O forse la sua intenzione non era quella di raccontare la verità dei fatti, come sarebbe dovere di un giornalista, ma di gettare un po' di discredito su uno che "apostrofa il premier o di chi del premier tesse le lodi", come Lei scrive. Ma quale rispetto per i propri lettori - e in definitiva per se stesso - può avere un cronista che manipola i fatti a proprio piacimento? Malvezzo diffuso, si dirà. Ma può valere come giustificazione?

"Dobbiamo fare squadra, dobbiamo cantare in coro", spiegava ai suoi dipendenti il signor Berlusconi nei giorni epici della "discesa in campo", prima di mettere alla porta Montanelli e trasformare Il Giornale nel megafono di Forza Italia. Quanto abbia giovato al giornalismo e alla politica italiani quel gioco di squadra, lo si è visto negli anni successivi. E fu efficacemente sintetizzato dallo stesso Montanelli il 26 marzo 2001: "L'Italia berlusconiana è la peggiore che abbia mai visto, per volgarità e bassezza; è davvero la feccia che risale il pozzo". Si riferiva anche a certo squadrismo giornalistico.

Da tale degrado, tuttavia, non mi sentirei esente io stesso, se sorvolassi - ormai assuefatto alla volgarità e alla bassezza dei tempi - sulle menzogne che riesco a individuare. Mi permetto dunque di invitarLa a riflettere, signor Zurlo, almeno sulle parole del fondatore del quotidiano sul quale Lei scrive. Ciascuno può fare qualcosa per impedire alla feccia di risalire il pozzo. Io ho scelto di usare la mia voce contro l'arroganza del potere. Lei potrebbe almeno astenersi dalle gratuite insolenze verso gli avversari politici del fratello del Suo editore. Un cordiale saluto, da estendere anche al conte Marini.