Trascinato via dalla polizia, fermato
in un commissariato per due ore e mezza e diffidato. Questo
mi accadde sabato 29 gennaio 2005 a Milano. Motivo? Criticai
Berlusconi. Ecco un mio resoconto, diffuso un paio di
giorni dopo. Seguirono esposti alla magistratura, interrogazioni
parlamentari e vari articoli di stampa, con qualche sgradevole
sorpresa: per esempio un lancio dell'agenzia Asca, che
scrisse l'esatto contrario della verità.
Ormai è chiaro: è riconosciuto solo il diritto
all'applauso.
Non mi riferisco a censura e manipolazione dell'informazione.
C'è di più: la repressione preventiva di ogni possibile
dissenso individuale.
Ne ho avuto conferma alle ore 15 di sabato
29 gennaio, quando sono stato trascinato in un'auto da
diverse persone qualificatesi come agenti di polizia,
e portato a forza in un commissariato del centro di Milano,
da cui mi hanno liberato oltre due ore e mezza dopo.
Mi trovavo davanti al palazzo delle Stelline
in corso Magenta, dove stavo per entrare per assistere
a un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi, con
il patrocinio anche delle Presidenze di Camera e Senato.
L'occasione era di tipo celebrativo: si magnificava l'azione
di politica estera dell'ex segretario del Partito Socialista
Italiano, cittadino - se ricordarlo non è blasfemo - pluricondannato
dalla giustizia italiana.
Molti i convenuti illustri: il sindaco di
Milano Albertini, il presidente della provincia Penati,
il "presidente di tutti" Formigoni. E ambasciatori, statisti
in pensione, ex ministri, storici, l'ex sindaco Tognoli,
già condannato a tre anni e passa, che oggi presiede il
Policlinico, Fedele Confalonieri in veste di amico di
Famiglia, l'avvocato sardo-milanese Giannino Guiso, un
tizio che assomiglia a De Michelis; ci sono pure i liberalsocialisti
di mondo Carlo Ripa di Meana, con cravatta frou frou e
vestito di panno verde, e Margherita Boniver, stretta
nel suo grugno. In trasferta da Cogne il garantista a
24 carati, l'on. Avv. Prof. Carlo Taormina. Insonorizzato
dalle cuffie per la traduzione, siede assopito in prima
fila l'elettricista-premio Nobel Lech Walesa, un dissidente
di successo.
Insomma una cosa senza pretese: tra storiografia domestica
e apologia di reato.
Ero già stato in mattinata a quel convegno
e - tranne qualche noiosa domanda di alcuni zelanti agenti
della Digos - avevo potuto partecipare tranquillamente
e prendere appunti per un articolo che avevo in mente
di scrivere per una testata on line. Lo può confermare
anche la mia amica Maria Vittoria Pillitteri.
Qualche gemma rimasta sul taccuino.
Lagorio: "La politica estera era il suo (di Craxi, ndr)
interesse prioritario".
Badini: "Ha avuto sempre in mente la crescita morale del
Paese".
Ruggiero: "Va ricordato come uno dei padri dell'Europa
Unita".
Craveri 1: "Era troppo in anticipo sui tempi, tutto ricomincia
con Craxi".
Craveri 2: "La cruna dell'ago è un libro da leggere per
capire quegli anni".
Guiso (in corridoio): "Siamo qui per contribuire a una
parola di verità".
Alle 13.30 tutti a pranzo. "Nel pomeriggio
ci sarà il saluto del presidente del Consiglio", annuncia
lo speaker.
Torno per la sessione pomeridiana, e trovo
nell'atrio un ampio schieramento di forze dell'ordine.
Un agente all'ingresso mi chiede il documento; glielo
dò. "Perché solo a me?", chiedo. "Li stiamo controllando
a tutti", rispondono. Non è vero. Mi chiedono di uscire
in strada. Esco. Dopo dieci minuti di attesa mi dicono
che devo "seguirli in commissariato per accertamenti relativi
alla mia identità". Alla mia richiesta di chiarimento,
aggiungono che "un dirigente vuole parlarmi". Intanto
trattengono il mio documento. Io: "Da qui non me ne vado,
perché non ho fatto nulla di male e sono un libero cittadino
incensurato; fate pure i vostri controlli e poi ridatemi
il documento".
Sono circondato da agenti, ribadiscono che
devo seguirli.
Alla storia del dirigente che vuole parlarmi se ne sovrappone
un'altra, meno lusinghiera: "Bisogna verificare meglio
il suo documento". Mi appunto i nomi di alcuni di loro.
Uno si qualifica come "Focaccia Piero". Ha l'espressione
irridente, di quelli che non dovrebbero mai rivestire
alcuna autorità. Esisterà un "Focaccia Piero" nella polizia
di Milano? Poi arriva un ordine: "Caricatelo in auto,
dai!". Oppongo resistenza passiva. In cinque - stipendiati
dai contribuenti italiani - mi trascinano con la forza
in un'auto. C'è anche una donna, "l'agente Bonamico".
Assistono alla scena varie persone, tra le quali alcuni
giornalisti. Un fotografo scatta. Nessuno parla. Urlo:
"Questo è un abuso, siete fuori legge! Mi toccherà denunciarvi!"
Mi portano al commissariato di San Sepolcro,
nella piazza in cui si affaccia il balcone milanese di
Mussolini. Rimango in un ufficio, in compagnia di "Massimo
Benedetti", un poliziotto romano da trent'anni in servizio
a Milano, che si dice costernato. Ci siamo già visti in
varie manifestazioni e convegni degli ultimi anni. Prendo
nota di ogni dettaglio. Non c'è nessun dirigente che vuole
parlarmi, tanto meno il capo di quel commissariato che
mi viene indicato nella figura del "dott. Vincenzo D'Agnano".
Chiedo di poter fare una telefonata. "Per ora non è possibile",
mi viene risposto. Rispondo alle chamate di un paio di
amici, uno dei quali pubblica in tempo reale una cronaca
sulla testata centomovimenti.com, e mi informa dei flash
di agenzia, tra le altre l'Asca, che dice che io non avrei
dato il documento alla polizia e che avrei offeso alcuni
agenti: l'esatto opposto della verità.
Chiedo ancora spiegazioni. "Sono in corso
accertamenti sulla sua identità", mi si dice. Benedetti
riceve qualche telefonata, verosimilmente da un superiore,
al quale racconta l'accaduto. A domanda risponde: "No,
non ci ha offesi".
"Si stanno prendendo paura", mi confida. "E pensare che
ero alle Stelline soltanto a portare un documento, hanno
scelto me perché sanno che sono un tipo calmo. Ma ora
dovrò scrivere una relazione".
Passo il tempo a guardare la collezione
di stampe appese in corridoio e la vasca con minuscoli
pescetti blu. Nella stanza accanto un agente scribacchia
qualcosa. "Ce l'ha un avvocato?", mi chiede. "Forse servirà
ai vostri capi", gli rispondo. Ne entra un altro. Protesto
anche con lui. "Non aggravi la sua posizione. Lei ha fatto
resistenza a pubblico ufficiale", mi dice. Gli rido in
faccia. Chiedo al poliziotto romano: "Ma è vero che un
questore, dopo una contestazione a Fini, è stato licenziato?".
Mi risponde pronto: "Sì, è successo a Trento".
A un certo punto si appalesa una dirigente
di polizia qualificatasi come "dottoressa Pagani", giovane
capelli neri occhialetti, che mi offre questa spiegazione:
"Abbiamo sviluppato il suo nominativo, per sapere chi
è lei, se è un terrorista…". La interrompo: "Non si giustifichi,
per me è tutto chiaro". "Vengo al dunque. Lei ora può
andare, ma la diffido dal ritornare di nuovo al palazzo
delle Stelline". "Perché?" "Lei ha precedenti di ordine
pubblico". "Sa che cosa vuol dire questa espressione vero?",
le chiedo mentre mi appunto il suo nome. "Questa decisione
è stata presa dall'autorità di polizia e non certo da
me personalmente".
L'autorità è impersonale: alibi vecchio come il cucco.
Mi viene restituito il documento ed esco.
Sono passate le 17.30. Scoprirò che, mentre contemplavo
i pesciolini blu, Sua Eccellenza Capelluta Prescritta
e Liftata, al convegno delle Stelline, davanti a un folto
pubblico di plauditori e diversi pregiudicati, proclamava:
"La nostra è la casa di chi ama la libertà".
Fendendo la folla del sabato pomeriggio, vado a un internet
point a scrivere un comunicato. Mi torna in mente il detto:
"Libero fischio in libero Stato", del socialista Sandro
Pertini, uno che la galera se l'è fatta e non per corruzione.
Ora i fischietti li usano per espellere e neutralizzare,
nel silenzio degli astanti, i cittadini liberi e incensurati,
che ancora vedono lo scandalo. Come nei giorni gloriosi
del ventennio.
Morale? Nell'Italia del 2005 solo il consenso
è garantito.
I cittadini che non rinunciano alla libertà di espressione
vengono identificati, trascinati via, sequestrati e diffidati,
senza alcun ragionevole motivo, in evidente violazione
delle leggi, quando il capo di turno, padrone di casa
dei "liberali", si esibisce in pubblico, magari per commemorare
un ex latitante. Sotto il governo dei prescritti il dissenso
viene preventivamente impedito dalle forze dell'ordine,
i cui dirigenti forse ritengono più grave il rischio di
un intralcio alla propria carriera che la lesione ai diritti
di libertà sanciti da quella Costituzione alla quale hanno
giurato fedeltà.
Ora cercherò un parlamentare di opposizione
che intenda promuovere al riguardo un'iniziativa istituzionale.
Ho deciso inoltre di presentare un esposto alla Procura
della Repubblica di Milano. Cosa che decisi di non fare
- e ora me ne pento - per un motivo analogo, nel giugno
2004, quando ricevetti il medesimo trattamento davanti
al seggio dove era atteso per il voto il signor Berlusconi
(era la volta successiva al famoso e illegale "comizio"
a urne aperte). Ero lì con alcuni amici - annunciata la
nostra presenza alla stampa - per "vigilare" sulle regole.
Mettevo in pericolo l'ordine pubblico, dunque.
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