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 Conflitto di interessi, non prendiamoci in giro
 di Marco Travaglio
 

 

 

Dal chiacchiericcio politico-giornalistico di questi ultimi giorni, mi son fatto l'idea che il governo e la maggioranza non abbiano alcuna intenzione di risolvere davvero, alla radice, il conflitto d'interessi. E che dunque farebbero molto meglio a lasciar perdere, in attesa che dopo di loro (se non torna Berlusconi, ipotesi terrificante alla quale lavorano alacremente) si presenti qualcuno di più serio e coraggioso, o semplicemente qualche liberale vero.
Io la vedo così. Penso che, per recidere il nodo alla radice, non si possa prescindere da alcuni punti irrinunciabili.

1. Chiunque possieda quote azionarie di società editoriali, radiofoniche, televisive o comunque nel campo della comunicazione è obbligato a cederle a terzi (in nessun modo a lui riferibili o collegati), pena la ineleggibilità al Parlamento nazionale e negli enti locali. Il senatore Passigli mi ha dato dell'ignorante, sostenendo che non conosco i più recenti orientamenti della Corte costituzionale, che avrebbe addirittura bocciato come illegittimo il concetto di ineleggibilità. Evidentemente la cosa è sfuggita anche agli stessi membri della Corte costituzionale, visto che ho parlato l'altroieri con uno di essi e mi ha detto che non gli risulta. In ogni caso, Passigli dice che sarebbe meglio la incandidabilità: figurarsi se non sono d'accordo. Rendendo incandidabile chi è in conflitto d'interessi, non si pone nemmeno il problema di dichiararlo ineleggebile una volta eletto. Magari accadesse davvero. Ma sono pronto a giocarmi parecchio che la incandidabilità non sarà prevista dalla legge-pateracchio che lorsignori stanno per varare.

2. Chi possiede o controlla società televisive o radiofoniche o telefoniche usufruisce comunque, in concessione, delle frequenze dello Stato, il che lo rende già oggi ineleggibile in base all'articolo 10 della legge 361 del 1957 (la stessa per cui chi ha la concessione per incollare i manifesti dei bandi comunali non può diventare consigliere né assessore comunale né sindaco; la stessa in base alla quale, senza obiezioni della Consulta, l'ex sindaco di Rimini è stato dichiarato decaduto perchè primario dell'ospedale comunale e un consigliere circoscrizionale di Milano è stato destituito perchè era anche portinaio di un palazzo comunale). Se il concessionario pubblico siede in Parlamento, o al governo, deciderà e voterà lui stesso sulla concessione delle sue proprie frequenze o sul loro rinnovo.

3. Non più più essere il Parlamento (giunta per le elezioni) a decidere sulle cause di ineleggibilità: altrimenti si crea il fatto compiuto (il soggetto ineleggibile si candida e si fa eleggere ugualmente, poi si mette a strillare che i cittadini l’hanno votato ugualmente, e dunque la volontà popolare prevale sulla legge: esattamente quel che è accaduto con Berlusconi nel ’94, nel ’96 e nel 2001, quando maggioranze di destra, di sinistra e di destra hanno dichiarato Berlusconi eleggibile e Confalonieri, che tanto non era nemmeno candidato, ineleggibile al posto suo: come se le concessioni delle tre reti Mediaset facessero capo al manager e non al proprietario). A decidere sull’eventuale ineleggibilità degli eletti dev’essere un organismo terzo, come la Corte costituzionale o un’Authority composta da persone prive di tessera e immuni da qualunque appartenenza politica nel loro curriculum e magari nominata dal capo dello Stato o dalla stessa Consulta. Per evitare la “giustizia domestica”.

4. Il blind trust, come alternativa alla cessione delle tv, è una truffa: infatti, quando nel '94 Berlusconi lo propose per la prima volta, la sinistra gridò giustamente al "blind truff". Devolvere i pacchetti azionari a un'amministrazione "cieca", o congelare i diritti di assemblea dell'azionista, serve a evitare che costui legiferi in proprio favore o approfitti di informazioni privilegiate per fare insider trading e arricchirsi indebitamente a scapito della concorrenza. Ma qui il problema non è (solo) che Berlusconi guadagna facendo politica. E' che usa le sue tv per manipolare l'opinione pubblica e dunque l'elettorato, truccando le regole della democrazia. Anche se il fondo è cieco, i suoi giornalisti ci vedono benissimo, perchè il padrone, lui, continua a vedersi benissimo. E questo accade sia quando governa, sia quando sta all'opposizione. L'Unione invece, con una deliziosa trovata, contempla solo il conflitto d'interesse di chi va al governo. Il che significa che, finchè Berlusconi sta all'opposizione, non ha alcun obbligo: tutto resta come prima, lui si tiene le sue tv e le usa per demolire il governo avversario e per prendere il suo posto. Non è meraviglioso?

5. L’obiezione a chi propone, per sciogliere il nodo Berlusconi, l’ineleggibilità è nota: l’ineleggibilità vale solo per le prossime elezioni, poniamo, del 2012. Ma nel 2012 Berlusconi potrebbe candidarsi senza cedere le sue tv, farsi eleggere, diventare presidente del Consiglio (carica che non richiede la qualifica di parlamentare), abrogare subito per decreto la legge sull’ineleggibilità prima che il suo caso venga discusso dalla giunta o dall’apposita Authority e restare in Parlamento per cinque anni tenendosi le sue televisioni. Vero. Ma intanto occorrerebbe la complicità del capo dello Stato che lo nomina e dell’Authority che traccheggia per dargli tempo di abrogare la legge sgradita. E poi questa prospettiva cadrebbe con l'incandidabilità. In ogni caso, l'eventualità rende ancor più urgente accompagnare la legge sul conflitto d’interessi con una seria legge antitrust sulle televisioni: non solo sui tetti pubblicitari e sulla disponibilità di frequenze per ogni soggetto, ma anche sul numero di reti sull’analogico terrestre. Il tetto fissato dalla Consulta nelle sentenze del ’94 e del 2002 è di due reti: il che impone a Mediaset di cederne una (si è sempre parlato di Rete4). Ma è una soglia decisamente eccessiva rispetto agli standard degli altri paesi europei, e agli stessi Usa, nessuno dei quali consente a un soggetto di controllare più di una rete tv (in Spagna il limite massimo è addirittura del 51%). Un’antitrust che non consenta a nessuno il controllo di più di una rete analogica terrestre, e dunque costringa Berlusconi a cederne due, neutralizzerebbe le conseguenze dell’eventuale colpo di mano del Cavaliere nel caso malaugurato di un suo ritorno al governo: potrebbe conservare il potere dichiarandosi eleggibile e non più in conflitto d’interesse, ma resterebbe con una sola tv in un panorama con la Rai, La7 e altri due canali (Rete4 e Italia1) in mano ad altri soggetti diversi (magari una rete Rai privatizzata). Insomma, in un sistema finalmente pluralista.

6. Vaneggiare di una legge "non punitiva" è una contraddizione in termini: come ha notato Sabina Guzzanti, tutte le leggi prevedono sanzioni per chi le viola. Le leggi sulle tasse sono "punitive" per gli evasori fiscali. La patente a punti è "punitiva" per i pirati della strada. Farfugliare di una legge che non sia "contro Berlusconi" è una solenne fesseria: Berlusconi è il titolare del più macroscopico conflitto d'interessi della storia dell'Occidente, che ancora l'altro giorno Al Gore, noto girotondino americano, definiva "un pericolo per la democrazia italiana". Se la nuova legge non obbliga Berlusconi a vendere tv e giornali per rimanere in politica, tanto vale non farla e tenerci la Frattini. L'attuale situazione, poi, è "punitiva" per un imprenditore che aveva creduto nel libero mercato e nello Stato italiano. Si chiama Francesco Di Stefano, nel 1999 ha vinto con Europa7 la gara per la concessione a trasmettere su scala nazionale, ma non ha le frequenze che sono abusivamente occupate da sette anni da Rete 4, che la gara per la concessione l'ha persa. Perchè mai punire chi ha rispettatoi le regole per non punire chi le ha sempre violate, o comprate, o riscritte su misura per sè?
7. Per smorzare sul nascere le polemiche sull’Unione che “espropria” Berlusconi di Mediaset e occupa la Rai, sarebbe ottima cosa metter mano alla riforma della Rai sulla falsariga del progetto De Zulueta-Sabina Guzzanti & C. (legge iniziativa popolare, oltre 50 mila firme appena raccolte), per togliere il potere di nomina del Cda al Tesoro (cioè al governo) e alla Vigilanza (cioè ai partiti) e per affidarlo a un organismo terzo, un’Autorità delle comunicazioni a sua volta non scelta dai partiti, ma dai lavoratori della Rai e dalle categorie intellettuali e produttive del Paese. Così nessuno potrà dire che il centrosinistra ha lottizzato la Rai e il sistema televisivo farebbe un passo decisivo verso l’indipendenza dalla politica e potrebbe financo dare qualche notizia vera, piantandola con la menzogna e con la propaganda.

 

 

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