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  Lettera di Marco Travaglio a Libero



Signor Direttore, ci eravamo lasciati qualche mese fa quasi ai materassi, dopo che lei mi aveva accusato assurdamente di voler coprire lo scandalo Parmalat per chissà quali mie losche connivenze con la sinistra (ora spero che la mia espulsione da tutte le feste dell'Unità per aver detto e scritto certe cose parli da sè). Le confesso dunque che la sua telefonata dell'altro giorno per chiedermi di commentare su Libero la vostra inchiesta sugli sprechi negli enti locali mi ha un po' sorpreso. Avevo quasi deciso di lasciar perdere, quando un Guardasigilli sciocchino e un ex vicedirettore del Giornale ancor più sciocchino mi hanno dato dell' "intellettuale di sinistra". Nel dubbio se querelarli per "intellettuale" o per "di sinistra", ho deciso di accogliere il suo invito.

Credo che abbia ragione Giampaolo Pansa: come già Affittopoli, anche Sprecopoli coglie nel segno perché scoperchia «un Vajont di nefandezze, etiche e di stile, se non giuridiche». Un Vajont trasversale, visto che «non esistono più barriere alle schifezze e sinistra e destra sono già omologate nell'impresa di spendere e spandere, con stupida arroganza». Ha ragione anche Antonio Di Pietro - che quando scrive di queste cose si rivela ben più fine del rozzo poliziotto che molti vorrebbero accreditare - nell'illustrare l' "ingegnerizzazione" del sistema Tangentopoli negli ultimi anni.

Gli sprechi di comuni, province e regioni, su su fino al governo nazionale (con i consueti inciuci per tener buona l'opposizione sulle leggi di spesa) non sono una novità. Ma di novità ne contengono più d'una. La prima è che, nei consigli comunali, provinciali e regionali, ma spesso anche in Parlamento, non li denuncia più nessuno.

Quando ho cominciato a fare il giornalista, come vicecorrispondente da Torino per il Giornale di Montanelli, mi divertivo un mondo a fare le pulci ai bilanci delle varie giunte, con l'aiuto di due maghi dell'opposizione (qualcuno, allora, c'era): il missino Marco Zacchera e il verde Pasquale Cavaliere, due cani sciolti che, non avendo mai approfittato di una lira pubblica, potevano permettersi quelle battaglie corsare, sgradite tanto alla maggioranza quanto all'opposizione.

A Milano c'erano i De Corato, i Rizzo, i Veltri, seguiti dai leghisti (non tutti). E ogni tanto qualche tombino saltava. Mi appassionava soprattutto il capitolo viaggi & gemellaggi, che vedeva consiglieri e assessori granturismo di ogni colore perennemente in giro per il mondo a spassarsela a spese del contribuente con la scusa di improbabili missioni diplomatiche, umanitarie, ma soprattutto enogastronomiche. Mai che si recassero in Lituania o in Albania. Sempre ai tropici, e sempre nella stagione migliore.

La seconda novità è che quei trucchetti da rubagalline per andare in ferie con rimborso a pie' di lista si sono col tempo affinati, e oggi pagheremmo volentieri di tasca nostra qualche viaggetto a lorsignori, se solo si limitassero a quello, rinunciando alla giungla di "consulenze" plurimiliardarie che si sono trasformate in un sistema aggiuntivo e abusivo di finanziamento pubblico, oltre a quello che, in barba al referendum del 1991, i partiti si regalano di anno in anno con il sistema truffaldino descritto l'altroieri da Di Pietro.

Ma oggi - terza novità - la figura dell'oppositore-oppositore, dello spulciatore di bilanci, dell'annusatore di mazzette e affini è estinta, anche perché i politici corsari hanno quasi tutti cambiato mestiere, o s'è fatto in modo di farglielo cambiare. E i partiti corsari non esistono più: si sono seduti tutti a tavola. Restano alcuni giornali e giornalisti corsari, ma appena azzannano un osso c'è subito chi urla al giustizialismo o ti piazza una bella causa civile per risarcimenti miliardari, per cui trovare qualcuno disposto a mettere nero su bianco un nome e un cognome è diventata un'impresa.

Anche perché, fra i consulenti più rinomati e trasversali, ci sono sempre più spesso dei giornalisti (Maurizio Costanzo "consiglia" la provincia di Roma su come farsi bella per la modica cifra di 150 milioni di lire all'anno e pare che faccia altrettanto per il comune di Genova, dopo aver prestato la sua preziosa opera alla Pivetti e a mezza leadership del centrosinistra, ma è solo il capostipite di una lunga stirpe).

La quarta novità è che dilapidare il denaro pubblico non è più reato. Pochi se ne sono accorti, anche perché la "riforma" passò con maggioranza bulgara del 95% (destra e sinistra a braccetto): ma nel 1997 l'abuso d'ufficio non patrimoniale - cioè il reato che comprendeva lottizzazioni, concorsi truccati, favoritismi, nepotismi, sperperi assortiti che con contemplano nulla in cambio, o almeno non lo lasciano trasparire - è stato depenalizzato, mentre quello patrimoniale (difficilissimo da dimostrare) è punito con pene talmente irrisorie che non consentono intercettazioni per acquisire le prove, nè custodia cautelare per tutelarle, nè i tempi necessari per arrivare a sentenza prima che scatti la prescrizione.

Quindi la sua indignazione contro le Procure inerti dinanzi a Sprecopoli va girata al Parlamento, che le ha appositamente disarmate per salvare quell'orda di amministratori locali multicolori che rischiavano la galera (e in alcuni casi ci erano pure finiti) per le loro malversazioni. Molti di loro, una volta miracolati, sono tornati al loro posto, altri non se ne sono mai andati, altri ancora sono stati promossi deputati o ministri e ora se la tirano da assolti, da povere vittime di errori giudiziari, solo perchè i fatti commessi non sono più previsti dalla legge come reato.

La quinta e ultima novità non c'è ancora, ma arriverà presto, non appena la devolution sarà legge dello Stato. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che il federalismo è la panacea di tutto, perché avvicina le decisioni ai cittadini garantendo un controllo più accurato su come vengono spesi i loro soldi. Quel che sta accadendo nelle varie regioni d'Italia, dalla Sicilia al Piemonte, con l'approvazione dei nuovi statuti è il degno antipasto di ciò che ci riserva il futuro. L'assalto alla diligenza, la moltiplicazione dei pani e dei posti, fra consulenti, consiglieri supplenti, poltrone e strapuntini che spuntano come funghi per sistemare portaborse, amici, amanti, candidati trombati. Ce n'è per tutti, infatti non protesta nessuno.

Il Sole-24 ore ha calcolato i costi spaventosi in più che comporterà la devolution: dal governo, a parte alcuni suoni gutturali del cosiddetto ministro Calderoli, non è arrivata nessuna replica di senso compiuto. Chi, in buona fede, aveva sperato nel federalismo farebbe bene a scendere con i piedi per terra e a rammentare che siamo in Italia, un paese che riesce sempre a corrompere qualunque buona idea: l'esperienza del maggioritario insegna, o dovrebbe insegnare.

Ho l'impressione che questa devolution non devolverà un bel nulla. Aggiungerà poltrone a poltrone, uffici a uffici, stipendi a stipendi, scandali a scandali, sperperi a sperperi. Avremo venti regioni a statuto speciale al posto delle attuali cinque, più l'amministrazione centrale che non retrocederà nemmeno di un palmo. Se è vero che l'occasione fa l'uomo ladro, le occasioni si moltiplicheranno per venti.

Non so lei, direttore. Ma io, quando sento parlare di devolution, penso alle facce dei venti "governatori" e dei non si quanti ministri che dovranno gestirla. Poi, non avendo il porto d'armi, non metto mano alla fondina. Ma al portafoglio sì, per controllare di averlo ancora. Così divento un centralista sfegatato, bismarkiano, crispino. I prefetti di Giolitti, ci vorrebbero, altro che devolution. La devolution è una boiata pazzesca.

Marco Travaglio
La Repubblica
(26 novembre 2004)