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  La lettera di Marco Travaglio a Paolo Flores D'Arcais (Micromega 1/2004)


Caro Paolo, si può essere favorevoli (ma anche contrari) alla grazia per Adriano Sofri. Si può condividere (ma anche contestare) questa irrefrenabile fretta che ha colto le istituzioni, al punto da contingentare i tempi per votare al pi presto l'ennesima legge Boato, con tutti i problemi che ha l'Italia.
E' umano e comprensibile che chi ha un amico in carcere ne desideri la liberazione e si batta allo spasimo perché questa avvenga al pi presto. Ma almeno una cosa si dovrebbe chiedere agli amici di Sofri, almeno a quelli che esercitano un ruolo pubblico, in parlamento, nei giornali o nella società civile: di applicare a Sofri le stesse categorie che applicherebbero a qualunque altro cittadino che si trovi o si trovasse nella stessa situazione. Perché questo, al di là del tormentone grazia si grazia no il punto centrale della discussione che s'è aperta in questi giorni, in seguito alla presentazione del disegno di legge Boato per aggirare l'annunciato rifiuto del ministro Castelli di istruire la pratica per il presidente Ciampi e di controfirmare l'eventuale grazia presidenziale: quello di Sofri è un caso particolare, unico, specifico, irripetibile, come molti asseriscono, oppure no?
Si dice: il caso unico perché Sofri, condannato in via definitiva come mandante dell'omicidio Calabresi dopo ben 12 gradi di giudizio (nove sentenze a lui sfavorevoli e tre favorevoli: un caso, questo si, unico, ma nel senso opposto a quello sostenuto dai suoi amici), si proclama innocente. Ma basta visitare un qualunque carcere per incontrarvi moltissimi condannati definitivi (spesso dopo tre gradi di giudizio soltanto) che si proclamano innocenti. Non basta dirsi innocenti per esserlo o per ottenere la grazia.
Si dice: il caso unico perché Sofri non è fuggito all'estero. Ora, che Sofri in questi ultimi anni abbia tenuto un comportamento esemplare (diversamente dal suo complice Giorgio Pietrostefani, latitante in Francia da tre anni), è fuor di dubbio. Ma tutti i 55 mila detenuti reclusi nelle carceri italiane non sono scappati all'estero. Altrimenti siamo a Monsieur de Lapalisse non sarebbero reclusi. E solo in Italia qualcuno può sostenere che il non darsi alla latitanza sia un titolo di merito sufficiente per ottenere la grazia.
Si dice: il caso unico perché intorno alla grazia a Sofri si è raccolta una grande mobilitazione di parlamentari italiani ed europei di quasi tutti i partiti e di moltissimi intellettuali e cittadini, italiani e stranieri. Ma se un detenuto Pincopallino fosse altrettanto famoso e visibile per il suo passato e per i suoi scritti, e dotato di altrettante e altrettali amicizie nei palazzi e nei circoli che contano, otterrebbe facilmente la medesima mobilitazione.
Si dice: la famiglia Calabresi ha lasciato intendere che non si opporrebbe alla grazia. Ammettiamo pure che questo sia davvero il sentimento che anima la famiglia Calabresi (l'unica protagonista di questa storia a dar prova di una discreta e dignitosa compostezza). Ma lo stesso si potrebbe dire per gli autori di moltissimi reati, sol che si conducesse un sondaggio presso i familiari delle loro vittime. Se si dovesse concedere la grazia a tutti i detenuti perdonati dalle loro vittime, avremmo risolto l'annoso problema del sovraffollamento carcerario.
Si dice: il caso unico perché Sofri sta scontando la pena per un delitto commesso quasi 34 anni fa, ed un altro uomo rispetto al Sofri del 1972. Il che vero, ma non costituisce certo una peculiarità soltanto sua. Le carceri traboccano di ergastolani e condannati a pene altissime, che sono reclusi da decine di anni per delitti molto antichi. Il bandito sardo Graziano Mesina in galera da qualcosa come 32 anni e la domanda di grazia, a differenza di Sofri, l'ha presentata un anno fa. Perché nessuno si batte perché gli venga concessa? E poi: se domani venisse identificato, processato e condannato qualche colpevole di una delle tante stragi che hanno funestato la nostra storia recente, da piazza Fontana in giù, qualcuno arriverebbe seriamente a sostenere che, essendo trascorsi molti anni, questo qualcuno dovrebbe restarsene a piede libero perché ormai è un altro uomo? La prescrizione dei reati stabilita dalla legge, che rende imprescrittibili gli omicidi e le stragi. Se si vuole, la si cambi. Ma per tutti, non per qualcuno. Se il Giappone dovesse finalmente estradare Delfo Zorzi, condannato (ancora provvisoriamente) per la strage di piazza Fontana, qualcuno sosterrebbe che non deve scontare la pena in carcere o si batterebbe per farlo graziare solo perché oggi commercia in tessuti e dunque molto cambiato da quando, forse, metteva le bombe?
Si dice: ma Sofri in carcere da molti anni. Sette anni di galera sono tanti, ma a fronte di una condanna per omicidio a 22 sono meno di un terzo della pena. E Castelli forse non ha tutti i torti (la prima volta che gli accade) quando giudica prematuro graziare un condannato la cui sentenza definitiva (nel processo di revisione) risale ad appena tre anni fa. Poniamo che venisse graziato un altro condannato per omicidio a 22 anni dopo averne scontati 7: davvero nessuno troverebbe nulla da ridire? Conosco l'obiezione: i pentiti di mafia escono anche prima. Già ma in seguito a una legge del parlamento italiano, voluta da Giovanni Falcone, quella si per interessi generali, e in cambio della piena confessione dei delitti e di contributi fondamentali per punirne e prevenirne molti altri. Lo Stato può fare tutto, o quasi: ma sempre in base a leggi generali e astratte. E il fatto che Berlusconi ne abbia approvate una ventina ad personam non autorizza nessuno a imitarlo. Altrimenti, con quale autorità che propugna le leggi ad personam per gli amici potrà poi denunciare quelle fatte su misura per gli avversari?
Si dice: ma Castelli boicottando la grazia, espropria il capo dello Stato di una sua prerogativa. Una dozzina danni fa, Cossiga si mise in testa di graziare Renato Curcio, condannato a pene altissime, ma mai per reati di sangue. L'allora guardasigilli Martelli annunciò che non avrebbe controfirmato il provvedimento di clemenza, e non se ne fece nulla. Se la legge affida al ministro un certo potere discrezionale e non un obbligo cogente, vuol dire che il ministro può anche non esercitarlo: in questi due anni e mezzo, Castelli ha ammesso una serie infinita di abusi (prontamente neutralizzati dal CSM, dalla Corte costituzionale e dalla magistratura ordinaria). Ma il suo no alla grazia per Sofri, per quanto opinabile, non rientra tra questi. Se il governo vuole graziare Sofri, abbia il coraggio di sostituire Castelli con un ministro favorevole. Ma prima di approvare una legge (per giunta ordinaria) per espropriarlo di una prerogativa costituzionale, bisognerebbe pensarci bene. E perché, poi, togliere le castagne dal fuoco al governo con un precedente che oggi vale per Sofri e domani potrebbe valere un'altra volta per Previti, o per Dell'Utri, o per Berlusconi? Se un domani il Cavaliere Dio non voglia riuscisse a insediare se stesso o qualche prestanome al Quirinale e concedesse (o facesse concedere) la grazia a se stesso, a Previti, o a Dell'Utri, senza nemmeno passare per il governo, chi avrebbe le carte in regola per opporsi?
Si dice: chi invita Sofri a chiedere la grazia pretende da lui un confessione, come ai tempi dell'Inquisizione e dei processi staliniani. Anche questo falso: uno può seguitare a dirsi innocente e chiedere la grazia. Chi sostiene il contrario riesce persino a far passare dalla parte del buonsenso un Ignazio La Russa. Il quale non ha tutti i torti quando dice che la grazia ex ufficio a un detenuto che non la chiede, pur prevista dal nuovo Codice di procedura penale, è un'assurdità. La grazia è il massimo privilegio che lo Stato concede a un condannato: non sarebbe ragionevole che il condannato si abbassasse non dico a confessare (sarebbe barbaro pretenderlo), ma almeno a presentare la domanda? Riconoscere lo Stato non significa condividere una sentenza che si contesta. In questi giorni si parla della grazia a Sofri quasi come di un atto dovuto, come un diritto acquisito dal detenuto. Anche se l'interessato non la vuole, gliela si conceda comunque. Poi si provvederà a convincere il graziato, implorandolo di accettarla. Con tutto il rispetto, è non un po' grottesco tutto ciò?